
Rivista bimestrale di Formazione e Aggiornamento professionale destinata a dirigenti e docenti delle scuole di ogni ordine e grado impegnati nel miglioramento dell'offerta formativa
Editoriale di Ivana Summa -La scuola: da crisalide a farfalla
La richiesta per una maggiore efficienza attraverso un forte cambiamento degli istituti scolastici è dovuta al fatto che un alto livello qualitativo dell’istruzione contribuisce ad incrementare la produttività e a generare una distribuzione più equilibrata della ricchezza del Paese. Di conseguenza, risulta decisivo riuscire a capire in che modo si possa migliorare il livello di qualità del nostro sistema d’istruzione e formazione, specialmente in una fase di vorticosa transizione che sta attraversando l’economia del nostro paese all’interno di una globalizzazione che proprio in questi ultimi mesi ha rivelato forti criticità e, contemporaneamente, formidabili potenzialità. Certo, le decisioni spettano ai governi e le politiche ne sono una conseguenza. Queste ultime, tuttavia - per loro stessa natura scuola - sono scelte opportunistiche. Si pensi all’endemico problema del reclutamento dei docenti, che oscilla tra la volontà di assorbire (e non eliminare!) le graduatorie e il bando di concorsi che non riescono a scegliere i migliori, oppure alle decisioni improvvisate sull’onda dell’emergenza, frutto di false immagini della scuola e che spesso guardano al passato.
Ad onor del vero, problemi vecchi di decenni oggi si manifestano con una gravità impensabile solo fino a due anni e, d’altro canto, hanno oggi a disposizione una formidabile opportunità, perché l’istruzione è una delle sei missioni di cui è composto ilRecovery Plan. Una rapida lettura della missione “Scuola e Ricerca” stanzia complessivamente 31,9 miliardi di euro - di cui 30,9 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 1 miliardo dal Fondo. Il suo obiettivo è rafforzare il sistema educativo, le competenze digitali e tecnico-scientifiche, la ricerca e il trasferimento tecnologico. Ci sono fondi ingenti da spendere a fronte di scelte coraggiose come lo 0-6 ma, come ha sottolineato il Presidente del Consiglio Mario Draghi, non ci sono solo cifre ma persone con il loro diritto al futuro. E, aggiungiamo noi, c’è in gioco il futuro stesso della scuola pubblica e di una delle istituzioni fondamentali del nostro paese.
Ovviamente, anche in questo caso, si sono immediatamente registrate delusioni di vario tipo provenienti dal mondo della scuola, riguardanti non tanto l’ingente cifra stanziata, quanto i settori scelti all’interno della specifica missione, che è necessario leggere alla luce di ciò che è funzionale alla crescita del nostro paese. è del tutto evidente, allora, che chi lavora dentro la scuola è naturalmente orientato, da una parte a guardare a bisogni percepiti come prioritari nel proprio contesto (di solito, più insegnanti e meno alunni per classe) e, dall’altra, a ritenere responsabili della qualità della scuola, e dei suoi destini, soprattutto i decisori politici.
ènecessario chiedersi se sia diffusa la consapevolezza, almeno tra gli operatori scolastici, che l’aumento delle risorse economiche non sembra incidere sulla prestazione scolastica degli studenti, in quanto studi empirici a livello internazionale non hanno rilevato significativi miglioramenti né sulla base di un determinato arco temporale né sulla base di confronti trasversali. Sappiamo, invece, e da numerosissimi studi e ricerche, che conta la qualità degli insegnanti, le forme di incentivazione per motivarne il continuo sviluppo professionale, le competenze in ambito educativo dei capi d’istituto che, in moltissimi paesi ma non in Italia, sono i garanti della realizzazione dei curricoli scolastici e dell’innovazione costante della didattica e degli stessi curricoli attraverso arricchimenti ed ampliamenti.
L’altro aspetto, che attualmente caratterizza il dibattito sulla scuola, si sta polarizzando intorno all’autonomia scolastica ritenuta alla base di comportamenti anarchici durante questi mesi di pandemia, a fronte di provvedimenti ministeriali, spesso tardivi, anacronistici, confusi. Avrebbero dovuto garantire una certa omogeneità di gestione - cosa mai accaduta, peraltro, prima ancora dell’attribuzione dell’autonomia - dimenticando che, comunque, le scuole agiscono pur sempre all’interno di contesti territoriali molto diversi, specie per quanto riguarda il loro concreto rapportarsi con gli Enti Locali, erogatori di risorse all’interno di politiche locali. E così alcuni “maître à penser prêt-à-porter”, sulla stampa nazionale e sui media, additano l’autonomia scolastica come la causa dell’inefficienza, invocando una nuova centralizzazione ministeriale per poter governare gli istituti scolastici con disposizioni uguali per tutti (sic!). Si pensi al caso “banchi a rotelle” che di per sé non sono né uno spreco né un investimento perché il loro utilizzo è subordinato al grado di innovazione didattica ed organizzativa e, dunque, avrebbero dovuto sceglierli le scuole e non il ministero.
Il dibattito tra accentramento e decentramento resta sempre aperto, ma le considerazioni vanno supportate da evidenze, frutto di ricerche e non di opinioni. Le evidenze che noi possiamo cogliere in questo ultimo anno, invece, ci rappresentano un arcipelago di scuole che manifestano una grande vitalità, in modo spontaneo e spesso volutamente in modo “tacito”. Ecco, allora, che nascono, dal basso, soluzioni che, pur all’interno di un quadro normativo generale, sono originali, creative, efficaci. Ci dicono che la libertà di insegnamento dei docenti, coniugata con le capacità di guida dei dirigenti scolastici lungo gli orizzonti dell’innovazione possibile con l’autonomia di ricerca e sperimentazione, ha reso le scuole più responsabili e più efficaci. Gli istituti scolastici, proprio in quest’ultimo incredibile anno, hanno dimostrato grande capacità di sviluppo, di naturale evoluzione, di spinta a liberarsi da involucri burocratici per poter spiccare il volo come farfalle. Per agire con autonomia e responsabilità le scuole hanno bisogno di acquisire la consapevolezza della crisalide burocratica in cui sono annidati ma che è anche capace, ad un certo stadio del proprio sviluppo, di dare un senso al suo esistere, che non è certo quello di applicare circolari ma di risolvere problemi, dare risposte a bisogni concreti, soddisfare aspettative. E per realizzare questa missione, i docenti e i dirigenti scolastici debbono dedicarsi alla qualità della didattica che è l’unica leva per combattere le diseguaglianze sociali e per garantire piena cittadinanza a tutti.
L’ennesima prova di quanto finora affermato la ritroviamo nel contributo di Flavia Marostica che, partendo da una recentissima ricerca“Osservazioni in classe. Quali pratiche didattiche nelle aule italiane”, condotta da Fondazione Agnelli e INVALSI, che ha coinvolto 1.626 insegnanti di 207 istituti comprensivi, mette in evidenza un aspetto fondamentale dell’insegnamento/apprendimento: le strategie utilizzate. È emerso che soltanto il 23% dei docenti osservati svolge azioni molto efficaci proponendo attività strutturate finalizzate al miglioramento. Le conclusioni sono che per migliorare l’apprendimento dei giovani è«necessario investire in formazione dei docenti»per metterli in grado di proporre attività strutturate di apprendimento e di autoregolazione.Sì, d’accordo, ma quale formazione iniziale, quale reclutamento e come fare la formazione in servizio? Le soluzioni del passato non sembra abbiano dato buoni risultati! Tuttavia, è bene tener presente che la ricerca citata non propone riforme ordinamentali; e questo è da plaudire perché le riforme possono essere perfette sulla carta ma possono essere realizzate soltanto da professionisti capaci di implementarle con libertà professionale e responsabilmente.
Il contributo di Marco Mongelli ci dice che è possibile migliorare proprio in tempo di crisi, facendo squadra, diventando comunità, realizzando laboratori permanenti per rafforzare competenze e creare motivazioni. Come afferma una docente: “Abbiamo iniziato a sentirci una comunità educante, nella quale ogni adulto presente era responsabile di tutti i bambini e, al contempo, non veniva lasciato mai da solo in balia di crisi comportamentali di alcuni alunni. Una comunità che non ha mai giudicato o colpevolizzato i propri componenti, ma che ha capito che alcuni tratti di personalità e caratteriali dei propri alunni possono essere gestiti meglio insieme, diventando un corpo unico fondato sulla fiducia e stima reciproca. Da aprile, di sicuro, inizierò la didattica in presenza con una nuova consapevolezza”.
Infine, segnaliamo il contributo di Alessia De Pasquale che affronta il discorso sull’errore che, tradizionalmente, a scuola non viene opportunamente inserito in una logica di miglioramento continuo e di valutazione per l’apprendimento, bensì di frustrazione, di paura di fallire davanti agli altri. Ebbene il teatro è un’ottima terapia antivergogna. Riportiamo una riflessione della nostra autrice, che ci pare particolarmente interessante: “Timidezza e vergogna sono i fattori psicologici che più frenano l’apprendimento, e sono spesso dovuti alla paura di quel che pensano gli altri. Il teatro e in particolare l’improvvisazione teatrale permettono però di ridurre la paura di sbagliare proprio perché aumentano la confidenza e la dimestichezza con l’errore..., per costruire scene e personaggi bisogna fare tanti tentativi, inciampare in errori e mettersi in discussione”. X