LA VALENZA EDUCATIVA DEL PERSONALE A.T.A.
di Vittorio Venuti
(Amministrare la Scuola n.9/2016)
Approfittiamo di essere ad inizio di anno scolastico e, come di solito si fa all’inizio di un nuovo e significativo periodo di tempo, apriamo con una riflessione che possa essere di sostegno ad un rinnovo di motivazione personale e professionale. In particolare, focalizziamo un aspetto molto serio, ma tenuto in nessuna o scarsa considerazione, specialmente a livello centrale: la valenza educativa del personale A.T.A.
Non è un mistero che, nei diversi progetti di riforma della scuola - compreso quest’ultimo de “la Buona Scuola” -, il personale A.T.A. sia stato bellamente e colpevolmente ignorato, essendo considerato più come uno strumento “meccanico” di funzionamento che non come risorsa essenziale per il funzionamento. A riprova, basti pensare alla diminuzione numerica del personale e alla preferenza accordata alla cosiddetta esternalizzazione dei servizi, evidentemente a riprova che già a livello dei poteri decisori non esista una vera e propria cultura della scuola né una vera visione dello scenario che la determina sia all’interno che all’esterno.
Ma se il Centro è sordo, non possono esserlo i contesti che da esso dipendono, non fosse altro che per riscontrare il senso di onestà professionale e di benessere che ciascuno deve comunque perseguire, confidando nella legge che afferma che la via dell’efferenza deve comprendere la via dell’afferenza, altrimenti il sistema implode miseramente.
Parlare di valenza educativa del personale ATA non è una piaggeria nei suoi confronti per ingraziarselo e sollecitare un maggior impegno, ma un semplice riconoscimento di una funzione che è comunque compresa nel ruolo che svolge già solo per il fatto che si trova ad operare all’interno di una istituzione educativa. Questo è il presupposto di fondo. Non si può pensare, infatti, che, nel medesimo luogo di lavoro, la funzione educativa sia riservata solo al personale docente e non a tutto il personale che in esso opera, specialmente tenendo conto della “esposizione” fisica che l’operare comporta. Ed è proprio la “visibilità” dell’operatore che indirizza la sua funzione educativa, il suo essere presente e disponibile a svolgere una mansione in favore di qualcuno altro, specialmente quando questi sono gli allievi, ancora più importante quando si tratta di bambini o ragazzi.
Se l’assistente amministrativo è relegato negli uffici e i suoi rapporti con gli allievi sono poco frequenti, tutt’altra storia è per i collaboratori scolastici.
L’articolo di D’Alessandro, su questo stesso numero di “Amministrare la scuola” fornisce un quadro a tutto tondo del collaboratore scolastico, rilevando le implicazione giuridiche e la problematica allocazione professionale che lo caratterizza e lo qualifica ed evidenziando alcuni spazi di operatività che intercettano anche i compiti di sorveglianza, vigilanza, accoglienza, manutenzione igienica dei locali; tutti ambiti che, da un altro punto di osservazione, descrivono l’importanza educativa della figura.
Se la comprendiamo nel suo percorso istituzionale, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, dobbiamo convenire che il suo rilievo ha pregnanza affettivo-relazionale fortissima nel periodo di impatto del bambino con la scuola e che si allenta e si ridimensiona progressivamente nel corso degli anni, pur continuando a rappresentare sempre un anello di giunzione un po’ speciale tra alunni e scuola.
Considerata l’età dei bambini nelle scuole dell’infanzia e primaria, il collaboratore ha una valenza educativa implicita, che l’alunno gli riconosce almeno fino a quando egli si dimostri in grado di esercitarla. Parliamo di valenza implicita, in quanto portata dal ruolo, non perché formalizzata nel mansionario. Il bambino riconosce nel collaboratore l’aspetto bonario dell’autorità che si avvicina e si lascia avvicinare senza pretese didattiche, non lo misura e non lo valuta, semplicemente lo accoglie e lo indirizza. In quanto adulto addetto alla sorveglianza, il collaboratore scolastico è un riferimento sul quale il bambino converge attenzioni relazionali che veicolano comunque comunicazioni con contenuto educativo.
Per il fatto che la relazione alunno/collaboratore si tracci su uno sfondo istituzionale educativo, essa non può che definirsi su basi educative, altrimenti non avrebbe ragione di esistere: la sorveglianza implica, comunque, concetti educativi. Se le esperienze del bambino con il collaboratore scolastico saranno positive nelle prime classi della scuola primaria, facilmente continueranno ad esserlo successivamente.
Il bambino elabora quello che vede e ciò di cui fa esperienza secondo il sproprio potenziale cognitivo. Dentro la scuola egli è un alunno, quindi è potenzialmente predisposto all’apprendimento e, potenzialmente, attribuisce importanza diffusa a tutte le persone che vi lavorano. Se vedrà un collaboratore disponibile, gentile e attivo, elaborerà l’immagine di una figura da rispettare e da considerare; se vedrà un collaboratore ozioso nel corridoio o intento a leggere il giornale o a fare altro di “privato”, elaborerà l’immagine di una figura di contorno, giustamente destinata a fare pulizie e commissioni, senza particolare rilievo umano.
Il collaboratore scolastico, proponendo se stesso continua ad evidenziare l’aspetto educativo dell’istituzione; quindi, si deve porre in relazione come operatore consapevole. I suoi atteggiamenti, il suo eloquio, la sua gestualità, la premura e la cura con cui svolge il proprio impegno saranno elementi visibili anche ai bambini, che sapranno apprezzarli e filtrarli all’interno dell’insieme dei messaggi educativi e formativi che la scuola propone.
Negli ordini di scuola successivi questa valenza educativa implicita continuerà ad esistere, ma dovrà fare i conti con l’alunno che cresce e con la sua modificata capacità di definire persone e mansioni, diritti e doveri, impegno personale e motivazioni, prospettive e giudizio. In questo percorso, avrà particolare rilievo il raccordo tra il collaboratore e i docenti e l’orientamento istituzionale. Del resto, segue uno slittamento analogo anche la figura dell’insegnante, che da una carica fortemente affettiva passa ad una specificazione più funzionale, più aderente al compito formativo.
In quest’ottica, il collaboratore scolastico deve essere interessato da una continua azione di formazione e di aggiornamento, come già prevede il suo stesso profilo, in aggiunta e ad integrazione delle specificità relative alle funzioni aggiuntive e miste.
Così come si ritiene indispensabile che gli insegnanti confortino il loro impegno didattico con le conoscenze di psicologia e di pedagogia applicata all’insegnamento, anche per i collaboratori scolastici possiamo ritenere importante che abbiano informazioni di carattere psicologico relativamente alle fasce d’età degli alunni con cui sono in contatto, al fine di attivare in loro comportamenti più appropriati alla bisogna. L’operatore della scuola materna abbia un orientamento sulle caratteristiche dei bambini di scuola materna, così per la primaria, le medie, le superiori; tutti, inoltre, siano messi in contatto con le particolarità degli allievi con handicap e della diversità in genere.
La scuola non esaurisce la propria funzione educativa all’interno dell’aula. Possiamo affermare che tutto l’edificio si permea di relazione, di rispetto, di accoglienza e ascolto; e che tutto il personale, indistintamente, deve esserne consapevole ed averne cura, ritenendo che proprio questi aspetti qualificano ulteriormente e più approfonditamente il ruolo che vi si trova a svolgere. Questi aspetti, peraltro, sostanziano il senso del fare e delle mansioni.
Con queste note non si vuole caricare la figura del collaboratore di responsabilità educative che, sembra, non gli appartengano; si vuole, piuttosto, recuperarle una dimensione importante, che c’è e ci si aspetta che venga esercitata in ogni caso. Il collaboratore, così come il restante personale, docente e non docente, rappresenta l’istituzione, ha funzione di vicarianza quando parla e agisce per conto dell’istituzione; e ciò gli conferisce importanza e responsabilità. Non esiste una zona franca dall’impegno e dalle responsabilità all’interno della scuola: questo deve essere ben chiaro e questo deve essere perseguito.
Nella scuola, ciascuno è un modello di riferimento e quel che fa o dice ha un valore aggiunto che può qualificare o squalificare il lavoro che svolge ed incidere positivamente o negativamente sull’immagine del contesto.
Non dissimile è il discorso che si può fare per gli assistenti amministrativi. Che siano o no a diretto contatto degli studenti, comunque, lavorando in una istituzione educativa, devono sentirsene compresi e partecipi. Curare il tono di voce, la gestualità, il modo di interagire (anche al telefono) sono elementi che denotano l’appropriatezza della performance alla funzione educativa della scuola.
Dirigente scolastico e Direttore SGA dovrebbero porre particolare attenzione a questa problematica ed evidenziala anche nel PTOF: tutto il personale è compreso e partecipe della funzione educativa che l’istituzione persegue.
Immaginiamo quale effetto possa avere un richiamo a questo argomento, costante dell’istituzione!