FARE L'insegnante n.5/2018 -2019

Rivista mensile di Formazione e Aggiornamento professionale e culturale per i docenti delle scuole di ogni ordine e grado

Editoriale Ivana summa Direttore responsabile

Abbiamo dedicato questo numero della rivista ai nuovi modelli di formazione in servizio del personale docente perché in quest’ultimo triennio sono stati investiti rilevanti finanziamenti in questo settore. Il nuovo si riferisce sia a quanto previsto e proposto nel Piano Triennale di formazione 2016-20190 emanato in attuazione della legge 107/2015, sia agli sviluppi della ricerca nell’ambito della formazione di adulti professionisti. Lasciamo ai margini le questione della obbligatorietà della formazione in servizio (ne, discute, peraltro, in modo problematico Luciano Lelli nel settore dedicato agli approfondimenti tematici) per poter considerare altri profili che riteniamo rilevanti.

 Con i termini aggiornamento e formazione generalmente si intendono le attività per stimolare l’apprendimento delle persone che agiscono in un determinato contesto lavorativo. I due termini non sono sinonimi, anche se entrambi sono attivati per la medesima finalità: migliorare le conoscenze e le competenze individuali per migliorare le performance dell’organizzazione. Aggiornamento e formazione sono i due volti di un processo organizzativo che non è fine a se stesso, ed anzi si intreccia con il più ampio ed articolato processo di gestione delle persone che operano in una organizzazione.

In entrambi i casi, l’ipotesi di base è, come è agevole comprendere, che un’organizzazione apprende, e dunque cresce e si sviluppa, attraverso le persone che in essa operano. In questa prospettiva, l’aggiornamento/formazione diventano insieme uno snodo critico in quanto qui si incontrano le potenzialità delle persone e i loro bisogni con le potenzialità e i bisogni dell’organizzazione. È importante sottolineare questo aspetto perché ci vogliamo focalizzare proprio su questo intreccio: l’obiettivo della formazione on the job è il sapere fertilizzato dall’esperienza lavorativa. Pertanto, poiché le organizzazioni hanno sempre più bisogno di migliorare il proprio livello di competenza, debbono necessariamente investire sulla promozione, diffusione, aggiornamento e sviluppo delle proprie risorse umane.

Infatti, un tempo, anche non lontano, era possibile tracciare un confine netto tra il momento della formazione iniziale attraverso lo studio e/o l’addestramento e quello dell’ingresso nel mondo del lavoro che, peraltro, si presentava molto stabile: da una parte la fase dello studio a scuola e all’università e, dall’altra, quella del lavoro in azienda, in ufficio, nelle professioni. Queste due grandi scansioni biologiche/biografiche della vita dell’individuo, oggi, hanno perso la loro stessa ragione d’essere, tanto che alla catena formativa (istruzione pre-scolare, primaria e secondaria) tutta confinata nella cosiddetta età evolutiva si va sostituendo un periodo formativo più lungo, dinamico e frastagliato che, assumendo la denominazione di “formazione permanente”, percorre tutto l’arco della vita.

Dunque, i tempi della formazione e quelli del lavoro non possono essere più così separati, ma - almeno in parte, durante il periodo lavorativo vero e proprio - debbono agire di pari passo. Cambia anche la qualità del tempo: quello della scuola e dell’università diventa il tempo per apprendere a imparare, mentre il tempo del lavoro deve trasformarsi in tempo di apprendimento dal lavoro perché solo in tal modo si sviluppano le proprie competenze e, contemporaneamente, quelle dell’organizzazione cui si appartiene.

Tutto quanto finora argomentato per dire che la formazione in servizio dei docenti - dopo un periodo sabbatico di ben 18 anni se si considera che l’obbligo di formazione fu cancellato con il C.C.N.L. della scuola del 1998! - si inserisce in una logica che supera il periodo di formazione iniziale (peraltro sempre più lungo!) separato dall’ingresso lavorativo nella scuola. Non si diventa docenti (né medici, né avvocati o ingegneri) in un periodo concluso e poi si vive tutta la vita della formazione iniziale. In un’epoca di cambiamenti così rapidi e così radicali, sia nel campo della conoscenza che in quello del lavoro, i docenti dovranno essere i primi ad essere in“formazione permanente” se vogliono continuare a sostenere una funzione sociale non abdicabile a nessun altro soggetto.

È pur vero che il docente è, innanzitutto, una persona di cultura, che vive nel tempo presente osservandolo e interpretandolo con i filtri culturali che caratterizzano la professione stessa dell’insegnare e, in questa prospettiva, cura il proprio sé professionale. Ma è altrettanto vero che oggi le organizzazioni di lavoro - e, in specie, quelle a forte rilevanza sociale - non possono affidarsi esclusivamente all’etica professionale dell’insegnante come “libero docente” e, d’altro canto, le istituzioni come la scuola hanno la necessità di calibrare costantemente la loro funzione ad esigenze e bisogni sempre più numerosi.

Fino a qualche decennio fa, fare formazione significava ancora prevalentemente progettare e realizzare corsi di formazione: limitata e approssimativa era l’analisi dei bisogni ed era praticamente assente la valutazione dei risultati. Quando quest’ultima c’è non va oltre il giudizio di gradimento del corso da parte dei partecipanti che devono dire se è piaciuto il corso, che cosa ricordano di più, che cosa hanno apprezzato dei docenti, se il materiale distribuito è stato utile o no.

Soltanto alla fine degli anni ’80 si comincia a parlare propriamente di “processo di formazione” articolato in: analisi dei bisogni, progettazione, realizzazione, valutazione dei risultati. Il ciclo si ripete e solo raramente - nelle grandi imprese e nei contesti lavorativi culturalmente più avanzati - viene realizzata un’indagine per valutare i reali effetti sul lavoro, quasi che questo aspetto non fosse rilevante. Eppure spesso l’offerta di formazione è ricca di interventi ma episodici e, comunque, senza un disegno strategico di coerenze e di continuità.

Oggi si è compreso che la formazione, per funzionare in termini di efficacia operativa, deve rappresentare un processo permanente, nel quale tutte e quattro le fasi citate assumono la loro specifica importanza e, soprattutto, l’analisi dei bisogni va collegata con la valutazione dei risultati. Sono due momenti separati nel tempo ma fortemente vicini nella loro valenza: si valuta il risultato raggiunto e, nel contempo, si progetta il futuro in un’ipotesi concreta di costruzione di un sistema di formazione permanente. Non solo, perché la formazione non prende più avvio soltanto dai bisogni ed aspettative dei singoli attori organizzativi ma, in via prioritaria, da un’analisi accurata dei bisogni di funzionamento e di crescita dell’organizzazione stessa. Così come la valutazione non va fatta sul singolo“corso”, ma sull’impatto in termini di cambiamento personale e di miglioramento organizzativo.

La legge 13 aprile 2015 n. 107 si inserisce in questa prospettiva e infatti, in più di un comma, fa riferimento alla formazione dei docenti e, in particolare, nel 124 quando afferma “Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche...sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione...”.

Un’attenta lettura della legge, inoltre, consente di comprendere la distinzione tra la formazione in servizio dei docenti che rientra in un piano più generale e sistemico e i bisogni formativi personali dei docenti quando. Il comma 120 afferma che“al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita... la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo...”.

La problematica sopra individuata è presente nei numerosi contributi che presentiamo nel numero 5 di gennaio 2019 e che sono il risultato di riflessioni su esperienze formative direttamente vissute tanto da entrare in aula con nuovi strumenti. Fare formazione dentro un luogo organizzato come la scuola significa innanzitutto investire nelle risorse umane a disposizione, aiutare le persone a riflettere sulle proprie esperienze e a rielaborarle, a rapportare positivamente le azioni alle teorie esplicite ed implicite che le presiedono, a concepire nuove idee e a riprogettare le proprie azioni, a collegare i concetti, le emozioni, gli atteggiamenti e il modo di fare e di essere negli aspetti importanti e critici del proprio lavoro.

La formazione continua dei docenti, infine, non può essere rapportata esclusivamente alla presunta carenza della preparazione di base, ma neanche ad un rincorrere continuamente le novità, bensì alla natura professionale del lavoro di insegnamento, al suo essere soprattutto un lavoro euristico ed ermeneutico e al fatto che la scuola, ogni scuola, deve operare di fatto come una comunità con una sua identità.

Oggi nella scuola c’è un bisogno aggiuntivo di formazione, perché tutto si sta trasformando tanto rapidamente che c’è il rischio che le persone, perdendo i precedenti punti di riferimento non siano in grado da sole di ritrovare nella propria esperienza i punti di partenza per progettare il futuro. Ruoli, professionalità, rapporti, cultura organizzativa, modelli e meccanismi di funzionamento, contenuti e metodologie di insegnamento sono oggi chiamati a rinnovarsi profondamente fino a trasformarsi, poiché soltanto cambiando, la scuola può continuare a svolgere la propria funzione. X

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