FARE L'insegnante n.9/2018 -2019

Rivista mensile di Formazione e Aggiornamento professionale e culturale per i docenti delle scuole di ogni ordine e grado

I PON per creare un sistema d’istruzione e formazione di elevata qualità

Editoriale di Ivana Summa, Direttore responsabile

Se pensate che un buon sistema di istruzione sia costoso, provate l’ignoranza.Ma il nostro è un buon sistema d’istruzione e formazione? Ad analizzare le comparazioni internazionali pare proprio di no. E allora cosa fare? In questo numero vogliamo ragionare intorno alle scelte di governo delle nostre istituzioni scolastiche.

Il vecchio aforisma si adatta perfettamente alla condizione attuale della scuola italiana, che funziona trascinandosi vecchi problemi senza mai risolverli una volta per tutte. E, d’altronde, non si può neanche affermare che i governi e il MIUR non siano intervenuti e non continuino ad intervenire per poterli risolvere o almeno portarli ad un livello di accettabilità confrontabile con gli altri paesi. Ecco, forse è proprio questo il problema: tanti interventi, tanti dispositivi di manutenzione ordinaria, tante pressioni e su diversi fronti senza che - nonostante tutto - si ottengano risultati soddisfacenti. Anzi, è sotto gli occhi di noi tutti il progressivo appesantimento burocratico cui, proprio con la pioggia di interventi del MIUR (l’ultimo è sul bullismo), è sottoposta la macchina organizzativa e gestionale delle singole istituzioni scolastiche, continuamente molestate da disposizioni che pretendono di migliorare le scuole attraverso il cambiamento delle procedure oppure facendo loro acquisire finanziamenti.

Nel primo caso ci riferiamo - a titolo di esempio - alle nuove disposizioni per l’esame di stato conclusivo del 2° ciclo di istruzione che, se le scuole ne considerassero davvero lo spirito innovativo, non si attarderebbero sulle modalità degli esami scritti ed orali, ma ne apprezzerebbero la loro vera intenzione: far applicare i Regolamenti n. 87, 88, 89 del 2010 che, di fatti, chiedevano e continuano a chiedere alle nostre scuole di prendere in mano i loro destini interrogandosi sul senso stesso della loro funzione. Infatti, nei regolamenti citati, è possibile rinvenire continui richiami alla necessità di far conseguire, ai nostri studenti,competenze per l’apprendimento permanente attraverso i saperi specifici della nostra tradizione: robuste conoscenze ed abilità di natura disciplinare. Così, dopo quasi un decennio, gli esami di stato del 2018/2019, già annunciati con chiarezza nel decreto legislativo 62 del 13 aprile 2017, sono stati pensati per consentire agli studenti di “esibire” la personale acquisizione delle competenze sia dal punto di vista cognitivo che da quello della consapevolezza di come sono diventati grandi vivendo l’esperienza della vita scolastica e, in particolare, quella relativa agli ultimi cinque anni.

La scuola secondaria di 2° grado, dal canto suo, dovrebbe, da subito, ripensare la propria progettazione curriculare anche sulla base dell’individuazione dei Nuclei tematici fondamentali e dei relativi obiettivi di apprendimento che, introdotti con il D.M. n. 37 e con C.M. n.3050/2019, mettono ordine nelle Linee Guida ed Indicazioni Nazionali introdotti nel 2° ciclo di istruzione con i Regolamenti del 2010. Ma i singoli istituti saranno in grado di invertire le pratiche didattiche e metodologiche fin dall’inizio del quinquennio, incoerenza tra quanto richiesto dal legislatore e le prassi didattiche che, nonostante le riforme, sono rimaste invariate? L’esame di stato è stato riformato proprio perché la trasversalità disciplinare e multidisciplinare è ancora praticata in modo sporadico e la scuola è centrata sull’insegnamento e sull’apprendimento individuale dei saperi disciplinari. Ogni richiesta di cambiamento, nei fatti, si presenta a latere delle metodologie didattiche già praticate con pervicace e sistematica insistenza, non ponendosi come sostitutiva, ma soltanto come aggiuntiva e, nel migliore dei casi, integrativa.

Nel secondo caso - l’acquisizione di finanziamenti - riguarda il filo conduttore che si snoda in questo numero dedicato ai PON ai cui bandi le scuole partecipano con grande dispendio di energie in tutte e tre le fasi: progettazione, realizzazione, rendicontazione, sottolineando che tutte e tre richiedono grande impegno ma che è soprattutto l’ultima - la rendicontazione tecnico/amministrativa - quella davvero più ostica per le scuole perché richiede investimenti in ore-lavoro che la scuola non ha a disposizione né nel personale amministrativo né in quello docente. Come ben argomentato nel loro contributo da Loperfido e Ritella, gli Stati membri si premurano di rendere operative le indicazioni che provengono dall’Europa e che riguardano proprio la questione dell’acquisizione di competenze da parte degli studenti, dei docenti, degli adulti, allo scopo di connettere il mondo scolastico con quello sociale, del lavoro, della vita quotidiana.

Non a caso, il Programma Operativo Nazionale relativo al settennio 2014-2020 è intitolato “per la scuola - competenze e ambienti per l’apprendimento”. Se, dunque, nel settennio programmatico precedente, l’obiettivo era quello di far raggiungere obiettivi minimi di conoscenza nelle diverse regioni, nel periodo che si chiuderà di qui a circa due anni, l’obiettivo è quello di“creare un sistema d’istruzione e formazione di elevata qualità, efficace ed equo offrendo alle scuole l’opportunità di accedere a risorse comunitarie”: Ancora una volta la domanda ritorna con insistenza: è questo il modo di migliorare la capacità formativa delle nostre scuole?

Insieme alle riforme grandi e piccole che hanno creato una scuola dall’insensato patchwork (letteralmente: cucitura di pezzi di stoffa per creare un armonioso disegno), l’altra strada è quella dell’elefantiasi dei curricoli attraverso le risorse acquisibili con la partecipazione ai bandi PON? Certo, le scuole si arricchiscono anche di strumenti materiali ed immateriali, gli insegnanti hanno modo di arricchire la loro professionalità e di usufruire di un’opportunità di guadagno che non può essere sottovalutata, ma la domanda di fondo resta: è questa la strada giusta per migliorare la qualità dell’offerta formativa delle nostre scuole, o queste modalità rappresentano soltanto un arricchimento quantitativo?

Noi crediamo di no, anche se non possiamo negare - e alcuni contributi pubblicati in questo numero lo testimoniano - che alcune scuole hanno saputo utilizzare i dispositivi normativi e le risorse finanziarie per migliorare ed innovare la propria offerta formativa focalizzandola sulle concrete esigenze dei propri utenti. Ovvero, mettono a frutto la loro capacità progettuale andando a procacciarsi le risorse finanziare ed applicando la normativa in funzione dell’efficacia e non soltanto come mero esercizio procedurale.

Noi pensiamo - e ne sono chiari esempi i contributi di Serio e di Savini - che sia necessario riaccendere, sia pure con modalità diverse e più consone a questi nostri difficili tempi di transizione, il pensiero dell’azione pedagogica che, per sua natura, è rivolto ad innovazione e miglioramento. Ma a riaccendere il pensiero pedagogico, mettendo in moto il circolo virtuoso prassi-teoria-prassi, devono essere proprio le scuole che hanno il dovere di avvalersi dell’autonomia di ricerca e sperimentazione. Il contributo di Bardellici porta proprio su questo terreno. Infatti ci riporta alcune“sensate esperienze” provenienti da diverse parti del mondo e che sono state presentate nell’annuale seminario internazionale dell’A.D.I., tenutosi a Bologna nel febbraio di quest’anno.

Ma se gli insegnanti da soli possono coltivare soltanto il proprio orticello e compiacersi dei prelibati frutti del proprio lavoro, oggi diventa urgente assegnare questo compito proprio alle scuole e ai loro dirigenti scolastici. Il riferimento non è casuale, ma intenzionalmente rivolto ai circa 4.000 nuovi dirigenti che entreranno in azione con il prossimo anno scolastico. La loro presenza, infatti, potrebbe liberare energie in tutte le scuole perché gli attuali dirigenti non saranno più impegnati nelle defatiganti e avvilenti reggenze, mentre i nuovi dirigenti potranno finalmente mettere in gioco le proprie competenze dal momento che dovrebbero conoscerne dispositivi e finalità. X

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