La collegialità docente: l’arte di porsi delle domande e la scienza di costruirsi le risposte
Abbiamo deciso di dedicare questo numero della rivista, il primo del nuovo anno scolastico, alle tecnologie che non possiamo, a mio avviso, definire più come “nuove”, perché in continua e imprevedibile evoluzione e mutazione. Infatti, il nuovo è una categoria troppo elastica (quanto dura il nuovo? E che succede del vecchio?) e, in un certo senso, troppo rigida ed angusta se ci si riferisce alle tecnologie che cambiano - allargando, potenziando e ristrutturando lo spazio di azione in cui irrompono - in modo rapidissimo. Tutto ciò per affermare, con grande convinzione, che le scuole – proprio all’avvio di questo anno scolastico – dovrebbero dedicare del tempo per pensare a questo mondo tecnologico, per fare delle scelte forti, in grado di guidare tutta l’offerta formativa. E, invece, tutti gli incontri collegiali – ahimè – sono destinati a deliberare decisioni già scontate, a implementare disposizioni normative ed amministrative che, peraltro, durante l’estate proliferano.
Ma la collegialità – che quest’anno ha compiuto cinquant’anni – è nata dalla cultura della partecipazione emersa con forza negli anni ’70 con le contestazioni studentesche, anche se ha innestato queste sue fondamenta nell’autonomia scolastica venticinque anni dopo. Da questo momento, ad ogni istituto scolastico autonomo viene assegnato un compito fondativo: disegnare il proprio quadro identitario, “espresso dai principali documenti che lo descrivono: Piano Triennale dell’Offerta Formativa, Rapporto di Auto-valutazione, Piano di Miglioramento. Andrebbe aggiunto anche il Programma Annuale che pur nel tecnicismo di un linguaggio specialistico, riassume tuttavia lo scheletro del cosa-voglio-fare con le carte che ho in mano”, come giustamente espresso da Renato Candia in questo numero della rivista. L’autore continua così il suo discorso: “… la triade PTOF/RAV/PdM, condividendo un minimo comune denominatore caratterizzato da dinamiche di sistematiche e necessarie verifiche e rimodulazioni periodiche, rende bene conto di quella ‘realtà costruita inter-personalmente che (…) rende possibili forme di azione condivisa’ di cui parla Alvesson. Gli attori che com-partecipano al progetto educativo della scuola devono poterne condividere significato, senso e contenuti. Le giornate che precedono a settembre l’avvio di ogni anno scolastico potrebbero essere efficacemente dedicate ad una formazione-ricerca capace di dare competenza reale a questi stessi attori su questi tre strumenti fondamentali,” sfuggendo al “rischio di dover dare priorità alla soluzione di urgenze occasionali e contingenti piuttosto che dipanare il filo di una propria coerente e motivata narrazione. Una visione narrata, infatti, è tale quando produce azioni e non rimane chiusa negli archivi mentali del Dirigente, dei suoi collaboratori o, peggio ancora, negli armadi delle segreterie.”
È questo il momento, dunque, di fare una pausa di riflessione per poter fare una nuova narrazione, dopo aver risposto a domande veramente epocali: qual è, oggi, la funzione formativa della scuola? Quali competenze formare? Dove andare e…come? L’esigenza di condividere momenti di riflessività si può concretizzare soltanto trasformando gli incontri collegiali in momenti di riflessione e di ricerca di carattere seminariale che permettono di mettere in circolo e dare parola ai vissuti di tutti, alle teorie implicite di apprendimento, di insegnamento, in una parola di educazione, istruzione, formazione. L’idea stessa di “Curricolo per competenze” – che le scuole sono tenute ad attualizzare costantemente soprattutto all’inizio di un nuovo anno scolastico –può rimanere una concettualizzazione astratta che non aggancia la realtà se non risulta essere il frutto di un processo di riflessione comune, diventando una comunità professionale in continuo apprendimento organizzativo. L’apertura di spazi di riflessività ha il potere di richiamare alla mente “idee e pratiche progettuali” al posto delle “idee e pratiche rituali” e questo non soltanto a livello individuale, bensì a livello collettivo. È questo il modo migliore per utilizzare le nostre esperienze, le nostre capacità e competenze, facendo fluire la nostra intelligenza collettiva, utilizzandola per progettare il presente partendo dalla visione del futuro che, in tempi di grandi cambiamenti, è doveroso per i professionisti della scuola. In tal modo la collegialità dà lo spazio, libero da vincoli burocratici, necessario per l’emergere delle diverse e personali posizioni incontrandosi – tramite confronti e scontri professionali, consensi e conflitti - nell’elaborazione di qualcosa di veramente autentico ed identitario, perché nato liberamente dalla comunità che agisce nella scuola in tutte le fasi dell’anno scolastico e di cui è davvero responsabile.
Perché privilegiare questo approccio irrituale alla collegialità che, in tutte le sue forme, si realizza quasi sempre in modo frenetico ed imposto dalle urgenze che, di anno in anno, premono per essere formalmente risolte proprio nei primi giorni di settembre? La prima risposta non è difficile quanto lo è, invece, la sua realizzazione nella fase decisionale che può trasformare un procedimento politico, che divide la maggioranza dalla minoranza o crea comode unanimità, in un processo professionale creativo e sensato. Questo è, infatti, il punto di partenza per dare unitarietà all’offerta formativa, che rappresenta l’esito del massimo livello di democrazia interna, dove ognuno – anche l’ultimo arrivato – ha lo stesso valore e lo stesso potere e il massimo livello di professionalità. La seconda risposta, che motiva la tratteggiata modalità espressiva di una collegialità autentica, oggi si presenta necessaria se consideriamo l’irrompere impetuoso delle tecnologie che sta ridisegnando lo spazio sociale in tutte le sue dimensioni, compresa quella educativa. Per quest’ultimo motivo quasi tutti i contributi – con diversi profili – sono dedicati alle tecnologie, segnate indelebilmente dall’intelligenza artificiale. Come ci suggerisce Pier Paolo Tarsi, “Le declinazioni formative o prettamente didattiche che la tematica dell’Intelligenza artificiale può assumere sono variegate almeno quanto le sfide educative e concettuali che questa pone. Implicando snodi contenutistici, passaggi e interrogativi che spaziano dall’etica all’informatica, dalle discipline tecnico-ingegneristiche alla comunicazione ecc., l’IA può incontrare la progettazione formativa (oltre che supportarla) in molteplici modi e percorsi, intersecando sguardi, competenze, interessi e prospettive differenti, … al solo fine di fornire, ci auguriamo, nuovi spunti a supporto della creatività e dello slancio pedagogico degli insegnanti.” E proprio il profilo pedagogico è quello esplorato da Andrea Porcarelli, che ci ricorda che “Vi sono alcuni elementi ricorrenti che caratterizzano un approccio pedagogicamente saggio alle nuove tecnologie che rimangono abbastanza costanti, ma vi sono sempre nuovi punti di attenzione che emergono con il progredire delle possibilità aperte dalle tecnologie stesse. Per dare un certo ordine espositivo alla nostra riflessione distingueremo una nozione ampia di cittadinanza digitale, che comporta anche la considerazione dei “diritti di cittadinanza” che vanno contemplati in un mondo in cui non è possibile prescindere dagli strumenti di informazione e comunicazione digitale, da una nozione più specifica – strettamente connessa all’educazione civica – che si configura come un compito educativo per la scuola”. Per assolvere a questo compito risulterà efficace la lettura del contributo operativo di Domenico Consoli, che presenta un progetto che ha l’obiettivo “di far sviluppare agli studenti, di ogni grado di scuola (primaria, secondaria di primo e secondo grado), le competenze per il riconoscimento delle fake news che si diffondono nei canali social ma anche nei quotidiani e nelle riviste”.
Per quanto riguarda più propriamente la didattica, questo primo numero presenta contributi particolarmente significativi e, tra questi, ne segnaliamo che riguardano il metodo Montessori: quello di Cristina Venturi, che fa una riflessione ad ampio raggio sulle tecnologie: “Non possiamo sapere con certezza come avrebbe potuto utilizzare Montessori le tecnologie negli ambienti di apprendimento, ma per certo siamo a conoscenza che prevedeva la loro presenza nelle aule scolastiche, leggendo le sue stesse parole: l’introduzione di ausili meccanici diventerà una necessità generale nelle scuole del futuro (…) Vorrei, però sottolineare che questi ausili meccanici non sono sufficienti per realizzare la totalità dell’educazione. Ne dà testimonianza Laura Rossi che, nella sezione montessoriana in cui insegna, ha sperimentato, e continua a sperimentare un approccio davvero originale, offrendo una inconfutabile motivazione: “L'approccio al digitale è necessario viste le difficoltà dei tempi che stiamo vivendo; per il bambino, la tecnologia non dovrebbe essere una “cosa a sé”, distante dal suo vivere a scuola, ma costituire parte di un percorso completo di apprendimento, di ricerca e di interazione”.
Anche le scuole hanno bisogno di interazione, ricerca ed apprendimento per poter creare la conoscenza del XXI secolo.X