L’educazione linguistica, una sfida per lo sviluppo del nostro paese
Editoriale di Ivana Summa
Vogliamo dedicare questo editoriale alla questione dell’educazione linguistica nel nostro paese che oggi, più correttamente, si riferisce anche alle lingue straniere e ai linguaggi non verbali. Perché riteniamo di grande rilevanza ed urgenza protagonista questa esigenza formativa? Scrivere, leggere, pensare, ragionare ed essere cittadini nell’era digitale sono azioni immateriali che, oggi, richiedono competenze di alto livello. Parlare e scrivere sembra- ai tempi dei social media - molto facile e, infatti, tutti lo fanno con grande leggerezza; in realtà, coloro che parlano una determinata lingua dovrebbero avere anche una competenza metalinguistica, poiché la lingua, proprio perché si usa soprattutto per comunicare nelle più svariate situazioni quotidiane, deve essere efficace e non generare pericolose ambiguità. Eppure, la chiave di lettura privilegiata della linguistica e, soprattutto, dell’insegnamento della lingua è - ancora e paradossalmente - la dimensione astratta e decontestualizzata, e non la padronanza concreta del linguaggio in un determinato contesto storico, sociale, economico e culturale. La comunicazione linguistica non ben padroneggiata non raggiunge i propri obiettivi, soprattutto quando si comunica in modo asimmetrico, come succede fra parlanti naif e professionisti della parola. Questi ultimi, infatti, sono in grado di esercitare un potere pericoloso perché in grado di cambiare la realtà, narrandola in modo persuasivo anche quando è completamente inventata. Tra chi padroneggia la lingua e crede, sbagliando, di avere competenze linguistiche si crea una asimmetria di potere che traccia solchi molto profondi di ineguaglianza sociale.
Come è noto, la comunicazione linguistica verbale e non verbale, come ha teorizzato la psicologia sociale degli anni Settanta, crea la realtà, la rappresenta e la interpreta in tanti modi diversi. Ne consegue che la lingua non è una “materia” come le altre, perché è lo strumento per conoscere il mondo, rappresentarlo, interpretarlo, difatti condizionando l’apprendimento di tutti i campi del sapere codificati e non, dentro e fuori la scuola. Ma la lingua non è soltanto strumento dell’apprendere e per pensare, perché è, contemporaneamente, il modo più efficace e potente per mettersi in relazione con gli altri. Ma le parole pesano e non sono interscambiabili e, soprattutto, possono essere percepite con una connotazione negativa o positiva, a seconda dei contesti in cui vengono proferite. E oggi i contesti sono costituiti da presenze plurilinguistiche in tutti i settori - sociali, lavorativi, di tempo libero - e dai mondi del web, più reali della realtà, che creano contesti comunicativi complessi, veri e propri oceani infiniti e tempestosi la cui navigazione richiede una robusta padronanza linguistica. La questione, quindi, è di capire che, se vogliamo una scuola che realizzi un’educazione linguistica che renda tutti cittadini competenti, è necessario che questo insegnamento diventi apprendimento autentico. Solo una padronanza linguistica non superficiale ed effimera può rendere le persone protagonisti della realtà attuale.
Per accennare alla complessità della realtà comunicativa attuale, mi limito a riportare questo passo icastico di Raffaele Simone, linguista di fama internazionale e autore di saggi di analisi di natura culturale che hanno sempre suscitato grande risonanza. In uno di questi saggi, Presi nella Rete. La mente ai tempi del web (Garzanti - 2012), afferma“Siamo insomma tutti avvolti nella <mediasfera>, un ambiente cioè in cui i media elettronici in rete giocano un ruolo fondamentale... siamo immersi in permanenza nella <mediasfera>.”
Ecco, allora, che la pubblicazione del documento che il Forum delle Associazioni Linguistiche - accompagnato dalla narrazione di Silvia Minardi, assume una rilevanza che trascende le questioni puramente didattiche e metodologiche per acquisire una forza politica che spetta alla scuola raccogliere e trasformare in azioni formative. Il documento - Officina per l’educazione linguistica. Proposta per un rilancio - passando in rassegna le ragioni delle 10 Tesi per l’educazione linguistica che videro la luce quasi mezzo secolo fa, punta i propri riflettori sulla formazione di accesso e di esercizio della professione docente che, come tutte le professioni, non è mai davvero e per sempre compiuta. “Si sente l’esigenza di “tornare ai fondamentali” per poterli ricondividere prima tra noi e poi con chi vorrà starci. Nasce l’idea di una formazione costruita e guidata dalle associazioni che diventano mentori più che erogatori di nuovi corsi di formazione - quelli non mancano! C’è voglia di provare a dire la nostra e di far sentire la voce di chi ha una precisa idea di scuola, di lingua, di apprendimento e di formazione. Qualcuno incomincia a parlare di “Stati Generali” dell’Educazione Linguistica”.
E il filo rosso dell’educazione linguistica lo ritroviamo nel contributo di Bruno Lorenzo Castrovinci, che, a proposito del documento associativo afferma: “L’obiettivo finale è quello di trasformare l’educazione linguistica in un pilastro dell’educazione globale, non più relegata al ruolo di disciplina autonoma ma elevata a mezzo fondamentale di comunicazione e comprensione reciproca. In un contesto così configurato, la lingua diventa veicolo non solo di conoscenza, ma anche di partecipazione attiva, costruzione di relazioni e comprensione interculturale. Gli studenti, dunque, vengono preparati non soltanto a comunicare, ma a interagire in un mondo dove il dialogo tra culture diverse è quotidiano e dove le competenze linguistiche sono imprescindibili per un cittadino del mondo responsabile e consapevole.”
Un contributo del tutto particolare è quello di Maria Rosaria Mazzella che riporta alla nostra memoria la lezione di Don Lorenzo Milani che già negli anni Sessanta, da una piccola parrocchia dell’Appennino toscano, irrompeva sulla scena sociale del nostro paese in pieno boom economico. Dunque, “Non si può non riconoscere il valore di questa lezione: un uso consapevole delle parole, infatti, ci aiuta a esprimere i nostri bisogni primari o le nostre esigenze quotidiane, così come un utilizzo adeguato delle stesse può aiutarci a cambiare il mondo, a rammentare il passato e, soprattutto, a costruire un futuro diverso da quello che sembra già scritto per noi e per gli altri. Grave miseria è la mancanza di dominio sulla parola: la conoscenza della propria lingua fa parte delle necessità di vita d’ogni uomo”, ammoniva Lorenzo Milani, e la sua preoccupazione è ancora di stringente attualità”.
Ma la padronanza linguistica, con il supporto ti tutti gli altri linguaggi, è il canale emotivo che ci fa stare nel mondo in modo pieno. Di questo mondo fa parte sicuramente l’educazione musicale. Il contributo di Serena Lazzeri va in questa direzione. Ci introduce, infatti, nel metodo Kodàly, già molto conosciuto ed apprezzato tra i cultori della didattica dell’insegnamento della musica, ma poco utilizzato nelle nostre aule. Da insegnante di musica, afferma: “La difficoltà di comunicazione è argomento assai caro anche alle competenze chiave di cittadinanza. Al termine dell’istruzione obbligatoria una delle competenze da raggiungere è proprio comunicare. Quest’ultima include sia la comprensione dei messaggi di genere diverso, di complessità diversa, trasmessi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali), sia la rappresentazione di eventi, fenomeni, principi, concetti, norme, procedure, atteggiamenti, stati d’animo ed emozioni”.
Concludo con un riferimento all’attualità che, proprio mentre scrivo queste righe, sta suscitando una certa apprensione: la revisione delle Indicazioni Nazionali e Linee Guida della scuola del 1° ciclo. è stata formata una commissione di esperti per “Insegnare l’Italia” (come il titolo di un recente pamflet di E. Galli della Loggia e L. Perla) agli italiani, per formare la loro identità nazionale proprio quando c’è urgenza di formare delle “nuove comunità di parlanti” in cui tutti possano essere cittadini protagonisti. A noi pare che le urgenze siano altre e spetta proprio agli istituti scolastici autonomi intercettarle e dare quelle risposte che soltanto la professionalità docente può trovare. X