La faticosa ripartenza della scuola e gli alunni stranieri per classe
Editoriale a cura di Vittorio Venuti
A guardare il fermento che da tempo investe il mondo politico, ormai in perenne campagna elettorale, giustificata dall’approssimarsi delle elezioni europee, c’è da rimanere sbacaliti nel sentirli discutere, dibattere, promettere e contraddirsi, vantarsi di avere salvato l’insalvabile e di star ancora rimediando ai danni di “quelli di prima”, mentre “quelli di prima” infiocchettano i buoni risultati da loro perseguiti e affastellano “quelli di dopo” nello spazio che intercorre tra l’ignoranza e l’incapacità.
Dobbiamo riconoscere che, in tutto questo spregevole rimpallo, “quelli di dopo” stanno dando prova di una straordinaria produzione di idee, proposte, decreti a tutto campo, tanto da chiedersi “ma allora, quelli di prima hanno fatto poco o nulla e li abbiamo mantenuti per niente!?”. Tra “quelli di prima” e “quelli di dopo” non deve correre buon sangue se si accapigliano in questo modo, anche perché, qualunque cosa propongano “quelli di dopo”, “quelli di prima” sono subito contro e giù a criticare, per poi magari essere d’accordo… Ma una lama taglia di netto “quelli di prima” e “quelli di dopo”: anche se, per fatal combinazione, dovessero usare le stesse parole per definire un concetto, un’idea, un’intenzione, comunque sarebbero su due fronti avversi perché il significato di quel che rappresentano non è lo stesso. Il pensiero conta, da un lato conservatore, finanche liberista e dall’altro progressista.
Ahi, ahi, se continuo così mi incarto! Voglio dire che, ormai da decenni, ogni volta che cambia il quadro di governo, la scuola si ritrova sotto pressione, stordita come un pugile che va a finire sempre alle corde: ogni “due per tre” dai banchi della politica si avanzano proposte ardite, ma “giustificate” da qualche pretesa suggestione pedagogica, che sparigliano i conti della scuola che, per contro, vorrebbe ci si rendesse conto che sta funzionando al limite delle sue forze e che si affrontassero, davvero e senza cincischiamenti i nodi cruciali del sistema d’istruzione.
Cosa rappresenta la scuola, qual è il suo senso e come può essere utile ai giovani di oggi immaginandoli già tra dieci o quindici anni? E ancora: per una società sempre più complessa e articolata, come si sta già configurando, come deve riorganizzarsi la scuola, senza smarrire i significati educativi e formativi che devono essere garantiti a tutti i suoi studenti?
Avviare un processo di rinnovamento della scuola non può pretendere che si faccia “a saldo invariato”, come ormai è prassi postillare ogni iniziativa che su di essa si vuole/vorrebbe far ricadere. È necessario avere una visione d’insieme, che parta dal presente e traguardi le richieste, i disagi e le potenzialità di una società in continua trasformazione, nonché le condizioni in cui il personale è costretto a lavorare. In quest’ottica, è senz’altro pregevole la preoccupazione del Ministro Valditara in ordine all’inclusione degli alunni stranieri, fissando anche un tetto di presenze per classe, ma, fatta così la proposta, si rivela inapplicabile già a priori.
Mario Maviglia, che nella scuola ha rivestito tutti i ruoli possibili, sul “Giornale di Brescia” del 2 aprile, ricorda che il “tetto” agli alunni per classe esiste già dal 2010, a seguito di circolare del 2 gennaio, ministro dell’Istruzione in carica Mariastella Gelmini, che prevedeva un’applicazione graduale della circolare, partendo dalle prime classi di ogni grado di scuola e prevedendo anche delle opportune deroghe. La norma naufragò letteralmente perché inapplicabile, perché pretendeva di regolarizzare una situazione la cui complessa dinamicità sfugge ad ogni regola certa. E chi si intende di scuola sa bene che, prima di ogni cambiamento, occorre conoscere il reale e concertare insieme a veri esperti di scuola le soluzioni possibili ponendo il problema al centro della rete delle problematiche che inevitabilmente trascina con sé, in ogni caso sapendo che si tratta di un fenomeno già per definizione disomogeneo e mutabile da un momento all’altro. Al di là di tutto, rilevare il problema è già importante, e tenerlo in agenda qualificandolo come urgente appare indispensabile, purché rientri in un quadro d’insieme, non si affidi a rappresentanti di ideologie di parte e, soprattutto, non a costi zero.
Abbiamo ripreso l’argomento, perché questa degli alunni stranieri in classe potrebbe dare il via ad un ripensamento della scuola in tutte le sue sfaccettature, libera dai lacciuoli che la imbrigliano e da una burocrazia che la sta viepiù soffocando. La scuola deve essere pensata e progettata al servizio degli studenti, non viceversa, perché il futuro sono loro, è loro il domani come la vita che hanno e il tempo che dovranno ancora vivere, sono loro la chiave del cambiamento. Pretendere una scuola che sappia interpretare i mutamenti in atto e sappia incontrare gli studenti dando loro riposte educative e formative generative, è il minimo che si possa fare, quel minimo che da troppo tempo attende di essere preso in considerazione.
Intanto, all’orizzonte si profilano interventi che mirano a riformare la valutazione della condotta prevedendo che possa, a fronte di un 5, far scattare la “bocciatura” già nella secondaria di primo grado (il tutto al fine di “responsabilizzare i ragazzi e restituire autorevolezza ai docenti”) e a reintrodurre i giudizi sintetici alla primaria, nella convinzione che “ottimo, buono, discreto, sufficiente, insufficiente, gravemente insufficiente”siano più chiari delle “definizioni incomprensibili tipo avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione”.
Gli articoli di questo numero:
Giacinto Iannuzzi ci invita a riflettere su “Motivazione e digitalizzazione” a partire dal problema della dispersione scolastica, questione alquanto delicatae che continua a confermarsiin tutta la sua gravitànonostante sia stato l’intento primario della scuola. A partire da questa considerazione, il contributo rende conto di altri aspetti particolarmente importanti, quale la digitalizzazione della didattica, in grado di consentire un’organizzazione più funzionale delle attività e di mettere a disposizione una ampia ed organica quantità di conoscenze più complesse ed articolate anche sul piano concettuale, che sia rapida,tempestiva, puntuale con la costruzione, anche negli alunni disagiati, di una nuova,forte volontàdi studiare e di conoscere.
Mario Maviglia e Laura Bertocchi propongono “Il dirigente scolastico e i docenti: professionisti, non sudditi”, una stimolante riflessione che si diparte dalle situazioni conflittuali che si determinano tra le due figure. La questione, si suggerisce, si può comprendere più agevolmente se ci si concentra sulle competenze che ciascuna figura deve riconoscersi e possedere. In effetti, si rileva, da una parte il DS tende a sentirsi potente in ogni campo, giacché l’essere il “capo” della scuola lo porta a sentirsi il capo in tutti i settori, anche in quelli che richiederebbero competenze tecniche non improvvisate; dall’altra i docenti tendono a non percepirsi come professionisti (dell’educazione, della didattica, dei processi di apprendimento, della disciplina di insegnamento) e dunque consentono a che altri (in questo caso il DS) invadano in varie forme il loro specifico settore.
Rocco Callà tratta dei “Permessi per l’espletamento di visite specialistiche ed esami diagnostici del personale docente e del personale ATA”, mettendo bene in evidenza come la disciplina di tale permesso sia regolamentata in modo differente per il personale della scuola. L’articolo mette in risalto la differente disciplina e i punti in comune anche in ordine alle modalità di richiesta e alle relative modalità di giustificazione mediante adeguata documentazione. Nel contributo si rappresenta anche il caso dei dipendenti che devono sottoporsi periodicamente a terapie comportanti incapacità al lavoro.
Paolo Fasce si sofferma “Sulla formazione obbligatoria, strutturale e permanente alla luce del CCNL 2019/2021”, in particolare soffermandosi sulla quantificazione delle ore di formazioneche ogni docente dovrebbe affrontare nel corso dell’anno scolastico e il cui numero è “personalizzato”, il che complica notevolmente l’applicazione stessa del dettato contrattuale. Al fine di introdurre chiarezza, si rinvia alla legge 107/2015 che, nella parte concernentegli adempimenti connessi alla funzione docente, ribadisce che la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale.
Tullio Faia focalizza l’attenzione su “Il Piano Annuale di Comunicazione”, contributo che segue ad altri due interventi sulla comunicazione e che, adesso, si incentra sulla necessità che il piano di comunicazione venga elaborato per essere inserito nel PTOF, come avviene per qualsiasi attività scolastica, in ragione del fatto che le azioni di comunicazione vadano attentamente programmate e tra loro correlate in modo tale da averne una visione organizzativa complessiva e preventiva. Al di là delle prescrizioni che provengono dalla Direttiva sulle attività di comunicazione della P.A. del 7/02/2002, la scuola, in quanto istituzione pubblica, deve sentire l’esigenza e considerare la comunicazione, interna ed esterna, come una strategia per migliorare l’organizzazione scolastica e il servizio di un’istituzione moderna ed efficiente. Il contributo è arricchito di un chiaro ed esaustivo modello di struttura di un piano di comunicazione.
Michela Lella ci partecipa “Le potenzialità del nostro fare scuola”, nel quale evidenzia l’importanza di preservarne il sogno, nonostante il contesto turbolento e difficile in cui siamo costretti ad operare e malgrado il declino educazionale di cui siamo spettatori increduli ed inermi. Sulla scuola, comunque, si continua a confidare per la risoluzione di problematiche che sono, per lo più, pertinenti al sociale. Sempre più si conferma la necessità che la scuola sappia orientare educazione e istruzione in modo da attrezzare gli studenti degli strumenti critici per la comprensione del reale.
Antonietta Di Martino nel suo pezzo “Valutazione dei rischi e avvicendamento nella posizione di garanzia del datore di lavoro” si sofferma a commentare una recente sentenza della Corte di Cassazione dove si analizzano i profili di responsabilità nel caso in cui si verifichi l’avvicendamento del datore di lavoro. Cosicché ci si chiede se nel caso in cui un dirigente scolastico succeda ad un altro in una scuola, oppure, più genericamente, un datore di lavoro subentri ad un altro in un’impresa già costituita, diventa responsabile della valutazione dei rischi fatta dal suo predecessore?
Stefano Callà incentra il suo discorso su “La discrezionalità del dirigente scolastico nell’autorizzazione del docente all’esercizio della libera professione dell’avvocato: il perimetro del patrocinio contro l’amministrazione di appartenenza”. Un contributo che interessa particolarmente i docenti abilitati all’esercizio della libera professione forense e che, in ragione di ciò, possano trovarsi ad assumere il patrocinio difensivo in controversie nelle quali sia controparte l’amministrazione scolastica per un possibile conflitto di interessi. Il dubbio da dirimere è: tale divieto si configura in qualunque causa in cui sia legittimato passivo il Ministero, oppure si riferisce alle controversie che riguardino l’istituto scolastico presso il quale il docente presta sevizio? Seguono normativa e giurisprudenza di riferimento.
Mario Di Mauro, per La Scuola in Europa, propone “Quanto speciale la scuola tra russi, svedesi e sami in terra di Finlandia oggi?”. Di certo è bene e conviene saperne di più se si tratta di Finlandia di cui si dice del proprio sistema educativo come il più felice oltre che il migliore tra quelli europei.
La Finlandia moderna ne rappresenta l’immagine e il modello più completo in ogni campo, dall’economia all’organizzazione sociale, alla salute e soprattutto nell’educare alla sicurezza e alla libertà di tutti.Ogni finlandese vive oggi la propria indipendenza cosciente di poter sempre scegliere nell’educarsi assieme agli altri. Da questa convinzione scaturisce tutto quello che riguarda l’istruzione pubblica, volta a rendere i giovani, insieme alunni e insegnanti,quanto più efficienti possibile nello sperimentare in ogni forma il modo migliore di autovalutarsi: una scuola più a misura di giovane che di adulto e di dialogo fiduciario più che di doverosità convenzionale, una sorta di interdipendenza che alla fine aiuta entrambi, alunno e insegnante, ad imparare.
Alessandra Morazzano, per I casi della Scuola, presenta “Il caso di un docente su spezzone, che contesta al dirigente l’assegnazione, sostenendo che, in quanto nominato su dodici ore, ha diritto a svolgerle tutte frontalmente”. Il dirigente aveva diviso lo spezzone di dodici ore in otto ore su cattedra e 4 su potenziamento.
Vittorio Venuti, per la rubrica di psicologia propone il contributo dal titolo: “Dal potenziale di sviluppo allo sviluppo delle potenzialità”, ponendo al centro la definizione che si ricava dalla metafora del neurofisiologo Delgado: “La potenzialità è come una magnifica autostrada capace di accogliere il traffico, favorendo lo scambio di visitatori tra numerose città. Tuttavia, l’autostrada non è in grado di produrre automobili, autocarri, merci, uomini d’affari, operai e tutte le forme di vita che circolano su di essa. La strada rende possibili determinate funzioni ma, di per sé, resterebbe solo un inutile nastro d’asfalto”. Molto chiari i ruoli che si attribuiscono agli alunni e agli insegnanti.
Vincenzo Casella, per Sportello Assicurativo, presenta “Alunno che si sente male a scuola per intossicazione alimentare”, caso di un alunno che accusa malore a scuola dopo aver ingerito uno yogurt portato da casa, al punto da richiedere la chiamata dell’ambulanza e il trasferimento in ospedale. Si tratta di infortunio? La polizza assicurativa copre il danno?