La scuola disorientata… deve orientare studenti disorientati
Editoriale di Ivana Summa
Mi capita, anche quest’anno, di entrare nelle scuole per realizzare attività di formazione o di partecipare a convegni e seminari e ciò mi offre l’occasione per parlare con docenti e dirigenti scolastici che, sia pure con accenti diversi, mi comunicano il malessere che vivono personalmente e che serpeggia dentro la scuola. Ho chiesto, allora, a cosa sia dovuto questo fenomeno che si concretizza in stati di disagio, turbamento e insoddisfazione. Ebbene, la risposta è stata più o meno questa: “siamo disorientati, soprattutto perché ci giungono indicazioni contrastanti, sia dal Ministero che dalla società, mentre spesso le amministrazioni territoriali non riescono neanche ad immaginare di poter pianificare insieme alle scuole del territorio un’offerta formativa allargata ed arricchita. Non capiamo più, non solo cosa serve fare tra le tante proposte, ma il vero problema nasce dalla normativa che investe la scuola e che, da ministro a ministro, aggiunge, toglie, sconvolge. E tutto questo accade perché il ministero e i ministri ignorano le attività, i progetti e le iniziative che le scuole – nella loro autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo – realizzano. E quando arrivano le nuove disposizioni non sempre sono coerenti con le scelte educative, pedagogiche e didattiche delle scuole. Andiamo a zig-zag…come gli ubriachi”. Ed è sotto i nostri occhi il profluvio di note, direttive, linee guida che propongono- nonostante l’autonomia scolastica – indicazioni di lavoro che spesso le scuole interpretano come adempimenti e che non si pongono in continuità con le politiche precedenti ed anzi indicano inversioni di rotta. Ne è un esempio l’assurdo pedagogico per cui, a corrente alternata, si propone il voto, poi il giudizio analitico, poi quello sintetico (e questo solo nella scuola primaria che pure è incardinata in un Istituto Comprensivo!), per non parlare della partita, che è puramente ideologica, del voto sì/ voto no, lasciando nella più totale oscurità tutto il senso della valutazione e, soprattutto, la sua funzione.
Ma questo malessere trova altre radici – e più profonde e numerose - nella nostra società, disorientata e confusa, perché ha smarrito la strada, ha perso la rotta senza avere una mappa e con una bussola impazzita. La sofferenza, individuale e collettiva, che serpeggia nella nostra società globale e locale può essere ben definita con la parola "malessere", che rappresenta una condizione esistenziale dell'uomo moderno ed è strettamente legata con le importanti trasformazioni che in questi ultimi decenni stanno attraversando i nostri Sistemi Sociali, Economici, Culturali e Valoriali. Tali trasformazioni stanno determinando un importante indebolimento delle funzioni di collante e di punto di riferimento che ogni istituzione sociale, a partire proprio dalla scuola, ha sempre rappresentato per ognuno di noi, per ogni cittadino. Questo è il malessere sociale che, analizzato superbamente dallo psicanalista francese René Kaes (edito da Borla nel 2014) è qualcosa di diverso dal disagio; è, piuttosto, una messa in discussione della capacità di essere e di esistere in sufficiente accordo con se stessi, con gli altri e con il mondo. Cadono i punti di riferimento del passato, i nuovi appaiono contrastanti e insostenibili: ci si ritrova spaesati, disorientati e – aggiungo – anestetizzati dai social media che iniettano (sic!) smarrimento, superficialità, incertezza.
E anche da qui che nasce questa percezione diffusa di malessere – che possiamo etichettare come “disorientamento scolastico” – e che è palesemente in singolare contrasto con l’impegno delle scuole, soprattutto delle scuole secondarie di 1° e 2° grado, a sperimentare tante attività e a percorrere tanti sentieri, finalizzati all’orientamento degli studenti, inteso proprio come definito nel D.M. n. 328 del 22.12. 2022: “l’orientamento è un processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale culturale ed economico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi ed interagire in tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire o ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un progetto di vita e sostenere le scelte personali”. Dell’impegno a realizzare l’orientamento che le scuole portano avanti almeno da un quarto di secolo è testimone questo numero della rivista con una serie di contributi teorici ed operativi. In un quadro come quello che abbiamo tracciato, le nuove Linee Guida sull’orientamento e le figure dei docenti che dovrebbero farsene carico possono apparire come un ulteriore peso zavorrato sulla scuola. E la scuola si rapporta quotidianamente con studenti e famiglie che sono altrettanto disorientati e che vivono lo stesso malessere che si vive a scuola. Non sarebbe stato meglio che il Ministero − questo di oggi e quelli del passato – avesse promosso una ricerca per capire cosa hanno realizzato le scuole in tema di orientamento, dando incentivi per fare ricerca e sperimentazione nei contesti reali e nei microcosmi sociali in cui gli istituti operano?
Proprio in questa prospettiva, abbiamo ospitato il contributo di Maria Rosaria Mazzella perché, ponendosi nell’ottica della ricerca, sostiene che il termine orientamento andrebbe abbondonato per “inventare un nuovo nome, il cui significato comprenda scuola, formazione, orientamento al fine di coniugare i nuovi bisogni del presente e superare obsolete concezioni di orientamento e formazione. È una visione “di sistema”, che esige un investimento nella valutazione all’interno dei servizi di orientamento; difatti, attraverso una prima fase di sperimentazione di nuove modalità di “valutazione d’impatto a medio-lungo termine, già in atto nel panorama internazionale, è possibile pensare all’accelerazione della presa di coscienza del problema e, quindi, della definizione condivisa degli standard di qualità. In sostanza, la valutazione deve assumere la forma di sistema nel sistema orientamento”. L’altro versante, come ci suggerisce l’autrice, è quello della cornice di senso dell’orientamento, che “va ridisegnata con la piena consapevolezza che gli adolescenti dei tempi presenti sono sempre più spesso “eroi fragili”: all’apparenza forti e invincibili, ma oppressi da vulnerabilità e insicurezze nascoste”. Flavia Marostica, antesignana nella formazione, nella ricerca e nella consulenza in tema di orientamento, ci ricorda che lo stesso “è entrato nella scuola con norme dedicate e con riferimenti al contratto dei docenti solo a partire dalla fine degli anni Ottanta e solo gradatamente negli anni e in un’ottica di collaborazione con altri soggetti istituzionali impegnati nello stesso servizio è stata individuata l’opportunità di differenziare la didattica orientativa come compito dei docenti di tutte le discipline e le azioni di orientamento condotte da altre figure sia appartenenti alla scuola sia esterne”. Le recenti linee guida si collocano proprio in questa prospettiva.
Il contributo di Chiara Franchini entra nell’operatività, riportando una “sensata esperienza” di una rete di scuole romagnole che coniuga in modo efficace continuità ed orientamento, usufruendo di risorse da parte di un’impresa del territorio. L’autrice, docente di lettere in una classe seconda della secondaria di 1°, realizza un percorso di lettura e scrittura autobiografica, poiché si rende conto di “come la scelta della scuola secondaria di 2° sia per i preadolescenti un compito di sviluppo che si somma ad altri compiti e che non può essere relegato al primo quadrimestre della terza media né può risolversi nell’informazione, pur necessaria, sull’offerta formativa post obbligo”. Nicoletta Morbioli, a sua volta, ci riporta un progetto di “riorientamento” rivolto agli utenti dei CPIA, fondato sull’accoglienza, l’accompagnamento e la personalizzazione dei percorsi. L’ambiente non giudicante permette ai ragazzi e alle ragazze di esprimere le loro caratteristiche e di riprendere contatto con il mondo della scuola attraverso esperienze positive, sia nella didattica che nella socialità. Le attività sono diversificate a seconda delle esigenze e degli obiettivi che, di volta in volta, si definiscono insieme tra ragazzi, ragazze e adulti: lezioni, laboratori, approfondimenti di discipline specifiche, esperienze di didattica all’aperto, di stage e tirocini in aziende e associazioni del territorio, percorsi integrati con scuole e centri di formazione professionale. Insomma, c’è molto lavoro da fare oggi e in futuro perché l’orientamento sarà il filo rosso dei cittadini di questo secolo, che dovranno costantemente arricchire le loro competenze integrandole con le tecnologie. Ma, chiediamoci, non sarebbe opportuno, anche per le scuole secondarie di 1° e 2° grado, realizzare un “orientamento non giudicante”?
Chiudiamo questo nostro editoriale con il contributo di Gian Carlo Sacchi che pone il problema fondamentale della nostra scuola che, ormai da un secolo, oscilla tra una visione gentiliana ed elitaria ed una visione democratica ed inclusiva, tra una scuola che seleziona ed una scuola che forma, tra chi studia e che lavora. È, oggi, una visione distopica che, per essere contrastata, richiede una nuova utopia, oggi più attuale che mai: “Visto dalla nostra tradizione culturale il lavoro intellettuale gode ancora del primato nella politica scolastica, mentre il lavoro manuale rappresenta una seconda opportunità, quasi inferiore… Oggi questa visione è superata nei fatti, perché il progresso tecnologico e produttivo ha superato questa polarizzazione”. X