DIRIGERE LA SCUOLA N.1/2020
OCSE PISA. Davvero la scuola italiana è come appare? Editoriale di Vittorio Venuti
Mi ero ripromesso di non parlarne quest’anno, perché, mi ero detto, sarà la solita solfa, per cui avrei lasciato scorrere il dibattito intorno all’impietoso report OCSE PISA sulle competenze dei 15enni italiani trattenendomi da ogni commento. Poi, però, al reiterarsi del grido d’allarme di giornalisti e personaggi della scuola, primo tra tutti il Ministro per l’Istruzione - “Sono dati che ci preoccupano, non perché siano diversi da quelli di un anno fa ma perché sono molto peggio rispetto a quelli di 20 anni fa” -, ho deciso che qualcosa avrei potuto/dovuto dire.
Quando la smetteremo di stracciarci le vesti facendo finta di essere colti, per l’ennesima volta, di sorpresa e, invece, ammettere che tra una tornata di prove e l’altra per la scuola non si è fatto granché, anzi, forse, la si è ancora più penalizzata gravandola di ulteriori “incertezze” economiche e “molestie burocratiche”? Raccogliamo quel che abbiamo seminato! è questo il punto, e non ha pregio l’allarme ricorsivo ma il pensare seriamente e continuativamente alla scuola provando ad intercettare i molti mutamenti di cui la scuola è stata fatta segno da qualche decennio a questa parte con un rapporto tra fondi complessivi per l’istruzione e PiL inadeguato ancorché in riduzione e una dotazione di edifici scolastici prevalentemente insicuri e ben lontani da quell’idea di “belle scuole” che avrebbe dovuto caratterizzare gli ambienti di apprendimento. Eppure sappiamo quanto l’ambiente pulito, curato, bello a vedersi contribuisca ad una sua migliore fruizione e predisponga a modificare i comportamenti anche i più ostinati.
Ma non è solo questo il punto. Il punto vero è: bene, adesso sappiamo! Perciò, cosa facciamo? Come interveniamo e dove con maggiore intenzionalità? Chiediamoci di chi sono le responsabilità, che non possono ricadere sugli alunni, ultimo anello di una catena che ha il suo inizio da un’altra parte.
Un’affermazione ricorrente quanto superficiale, tra le tante espresse e lette, mi lascia molto perplesso e non mi sta bene. Si dice: gli studenti italiani “ottengono un punteggio di 476, inferiore alla media OCSE (487), collocandosi tra il 23° e il 29° posto”; affermazione che non mi sta bene perché non sono loro, gli studenti, a classificarsi in una posizione di classifica inopportuna, ma la scuola italiana. Non possiamo dire che uno studente su 4 non raggiunge il livello base di competenza in matematica o che 19 studenti su 20 sono analfabeti funzionali o, per contro, che solo uno studente su 20 padroneggia compiti di lettura complessi distinguendo tra fatti e opinioni quando leggono un argomento non familiare. Quando si parla di valori medi, di statistica, viene in mente Trilussa con la storia del pollo:
“Me spiego: da li conti che se fanno
secondo le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due”.
I dati occorre saperli leggere, interpretare ed analizzare, per ricercare le responsabilità del sistema più che non quelle degli studenti o, anche, degli insegnanti. Responsabilità che, in primo luogo, ricadono sulla politica, che spesso rivela un analfabetismo culturale ed emotivo ancora più preoccupante di quello che si attribuisce agli studenti. Ripariamo la scuola e curiamo gli edifici, curiamo la formazione permanente e “obbligatoria” degli insegnanti e consentiamo la liberazione della didattica dal modello trasmissivo e prevalentemente nozionistico, ma liberiamo anche i dirigenti scolastici dai funambolismi burocratici e dall’ostinazione, imposta, dell’ubiquità (quante sono le situazioni di spartizione dei dirigenti su più e più sedi?) consentendo loro di recuperare la loro vera funzione di leader educativi, liberi da responsabilità - vedasi sicurezza - che non competono loro e che alimentano quella irrequietezza esistenziale che certamente non giova alla serenità del loro impegno. Con urgenza occorre ripensare alla scuola primaria, fondamento ineludibile di tutto quel che gli studenti faranno in seguito. Gli insegnanti non siano così zelanti a seguire i programmi facendoseli dettare dai libri, talmente di fretta, ormai, che i bambini non hanno tempo di assimilare ed elaborare le informazioni, di acquisire con sicurezza le procedure. Non si trascuri il collegamento tra la mano, il cervello e la mente, vie obbligate per gli apprendimenti. La capacità di comprendere testi complessi si avvia fin dalla classe prima, a patto che si tenga conto di seguire una didattica che si basi sulla riflessione, sull’esercizio ripetuto, sulla lettura e sull’analisi di testi e dati. Non col ritmo e con l’intensità pretesi dai libri ma rispettando il ritmo e le inclinazioni dei bambini nonché il buonsenso pedagogico e didattico dell’insegnante attento.
Sarebbe facile, a questo punto, agganciare considerazioni anche sulle prove Invalsi, ma è meglio soprassedere. Rilevo solo che si stanno trasformando in una sorta di competizione tra le scuole, con insegnanti che le vivono come banco di prova per loro e mi chiedo: era questo il senso?
Intanto ricordiamo quanto dichiarato dallo stesso Ministro Fioramonti poche settimana fa: “Serve una scuola di qualità che torni a garantire l’ascensore sociale, dal Nord al Sud, e non un ammortizzatore sociale. Da 20 anni sulla scuola italiana non si investe più. (…) Difendo il principio di valutazione delle prove Invalsi, ma devono essere oggettive. Per questo ho deciso di farli anche io, per verificare se è vero ciò che viene detto per quanto riguarda, ad esempio, le domande trabocchetto che misurano solo un’attenzione e non il grado di apprendimento in modo chiaro e lineare. E poi non dovranno essere invasivi. Gli studenti non devono studiare solo per superare il test, ecco l’obiettivo”.
Permangono intatti i miei dubbi sulla oggettività delle prove e su quanto sia corretto proporre modalità di rilevazione degli apprendimenti sulla base di criteri e sequenze ideologiche estranee alle singole realtà sulle quali si riversano. Si possono osservare ed esaminare con obiettività i bambini della scuola primaria?
La questione è, comunque, più ampia e complessa di quanto appare, perché coinvolge ed incide sul profilo pedagogico e didattico del sistema d’istruzione e del senso stesso del fare scuola.
L’apertura di questo numero di Dirigere vede il contributo di Michela Lellasu un evento che, in questo periodo dell’anno scolastico, vede fortemente impegnate le scuole, intente ad offrire la migliore immagine di sé: “L’open day a scuola è solo un’operazione di marketing?”. Nella disamina del fenomeno si dà conto del ruolo che ha avuto l’autonomia scolastica nell’adesione delle scuole alle logiche di mercato al fine di garantirsi la sopravvivenza. Andare oltre il marketing è un imperativo a cui bisogna prestare più attenzione.
Stefano Stefanel, a seguire, dà rilievo a “Il problema dello staff dirigenziale”, quella componente di docenti che affianca il dirigente scolastico nella gestione della scuola. La trattazione descrive le diverse modalità operative con cui lo staff viene definito per suggerire lo spostamento di una idea di staff tutto orientato verso l’amministrazione, in favore di un’idea di staff orientato verso la costruzione di un organigramma di scuola in cui dirigente e collegio docenti convergono verso figure di sistema, di gestione e di coordinamento riconducibili a pratiche didattiche ed educative.
In “Istruzione e formazione professionale alla ricerca di una prospettiva unitaria per la persona e il lavoro” Gian Carlo Sacchifa il punto sulla unificazione del sistema scolastico e formativo come disposto dalla riforma del titolo quinto della Costituzione e mai del tutto realizzata. Il contributo ripercorre le tappe di avvicinamento dei due sistemi e rileva gli spazi per una riedificazione dell’intesa, da parte di Stato e Regioni, funzionale ad una formazione per il lavoro che corrisponda alle esigenze dei territori a sostegno delle aziende e che offra ai giovani una qualificata formazione in vista della loro occupazione.
Ivana Summain questo articolo“L’attività di gestione del dirigente scolastico: una “mappa in 40 schede” per passare da un modello burocratico ad un modello professionale del servizio educativo”, commenta il contenuto di un testo edito da Euroedizioni per supportare l’attività dirigenziale del dirigente scolastico. Il problema centrale di un istituto scolastico è quello di funzionare al meglio delle proprie possibilità tutti i giorni, sostiene l’autrice. Ma una volta raggiunto un certo standard di funzionamento, il lavoro non è finito, perché da quel momento in poi non si tratta soltanto di mantenere l’equilibrio raggiunto limitandosi a gestire la quotidianità, prevenendo gli inevitabili incidenti di percorso o correggendo eventuali errori.
Prende spunto da uno studio dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (AGIA) il contributo di Anna Armonecentrato su“I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali delle persone di minore età, in particolare bella tranche 0-6”. L’AGIA ha deciso di circoscrivere, al momento, il tema dei LEP alla fascia di età 0-6 anni, in quanto universalmente riconosciuta come quella in cui investire per avere migliori risultati in ordine alla promozione del benessere, alle prestazioni scolastiche e in generale agli esiti nel corso della vita, nonché per ridurre diseguaglianze, disagi e maltrattamenti. Un livello essenziale particolarmente preso in considerazione è il diritto, per ogni bambino che frequenta la scuola dell’infanzia, di accedere a un servizio mensa in quanto servizio essenziale e non più un servizio a domanda individuale.
In “Governare i processi formativi: inclusione e qualità dell’offerta formativa”, Viviana Rossiillustra la pregevole iniziativa che l’AID, “Associazione italiana Dislessia”, ha riservato ai dirigenti scolastici delle scuole di ogni ordine e grado con l’attivazione di una piattaforma digitale, gratuita, della durata di 40 ore. La scelta di rivolgersi ai dirigenti scolastici consegue alla considerazione dell’importanza del suo ruolo, che si espleta anche nella promozione di interventi indirizzati ad assicurare il diritto di apprendimento di tutti gli studenti.
In questo preciso momento dell’anno scolastico, che vede scuole e famiglie impegnate nelle preiscrizioni, assume rilievo il contributo di Daniele Scarampi, che tratta de “Il valore del diverso e la percezione dell’inclusione scolastica nella recente evoluzione normativa”, quale suggestione importante per i docenti, da un lato tesa a rammentare i fondamenti legislativi che affermano il diritto dei soggetti ritenuti più fragili ad esserci come tutti gli altri e dall’altro volta a sospingere gli insegnanti ad ampliare la loro professionalità e le loro competenze psicopedagogiche e didattiche per comprendere e curare l’effettiva inclusione di tutti gli allievi.
Sul rapporto OCSE PISA si sofferma Ilaria Virciglio, colpita dal rilievo che i mezzi d’informazione hanno dato ai quindicenni italiani evidenziati come, mediamente, non in grado di distinguere in un testo le opinioni dai dati oggettivi, quindi privi di competenza testuale. In “La scuola tra scandalo e paradosso”, Virciglio chiama in causa lo scarso amore per la lettura, complice, spesso, un ambiente familiare altrettanto distratto e uno scenario sociale anch’esso poco incline. La scuola, quindi, non può essere messa in discussione, non altrettanto si può del fuori scuola.
Silvestro Pezzuto, nel suo pezzo dal titolo “Licenziamento disciplinare per false attestazioni presenze (“furbetti cartellino”)” ritorna su un argomento di scottante attualità fornendo una chiave di lettura più completa delle nuove norme introdotte per combattere l’assenteismo dei dipendenti pubblici. Nell’ordinamento disciplinare dei dipendenti pubblici sono presenti alcune norme che sono espressione di accadimenti o particolari eventi che hanno avuto una forte rilevanza mediatica e indignato i cittadini onesti, colpiti da immagini deplorevoli di impiegati pubblici autori di false attestazioni di presenze in ufficio o di altre attività fraudolente.
Infine, Andrea Leonzio, nel suo pezzo“Le novità del decreto scuola” ci offre una panoramica delle principali novità introdotte per la scuola con questo tormentato decreto l’ultimo dell’era del Ministro Fioramonti. Il Parlamento ha approvato con la legge di conversione del 20 dicembre 2019 n. 159, il decreto scuola del 19 ottobre 2019 n. 126 contenete misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti. La legge è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 2019.
Per “Salute e sicurezza nella scuola”, Antonietta Di Martinopropone il terzo inserto, nel quale ci si sofferma sui concetti chiave di prevenzione, protezione, promozione.
Per i Casi della Scuola, Antonio Di Lellosi occupa di “Incompetenza del Dirigente Scolastico a irrogare la sanzione disciplinare” riprendendo il caso di una docente sanzionata dal Dirigente scolastico con la Sanzione disciplinare di sospensione di giorni 1 dal servizio e dalla retribuzione, per violazione dell’art. 494, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 “atti non conformi alle responsabilità, ai doveri e alla correttezza inerenti alla funzione o per gravi negligenze in servizio”.
Per la Scuola in Europa, Mario Di Mauropropone l’interrogativo “Come vive se stesso chi oggi si trova a guidare l’impresa sociale più delicata e sensibile al mondo?”, intendendo riflettere sulla variegata natura professionale dei capi d’istituto, sia essi chiamati ‘headschool’, ‘director’, ‘principal’, ‘preside’ o‘rektor’, comunque un’eccellenza che in ogni scuola d’Europa cerca di custodire al meglio ogni nostro possibile futuro.
Per la rubrica giurisprudenza scolastica, Silvia Renzulli nel suo pezzo “Le novità del garante sulla privacy a scuola”, fa il punto sull’ultimo provvedimento adottato dal Garante per la privacy a proposito dei trattamenti dei dati effettuati dalle scuole. Uso degli smartphone da regolamentare scuola per scuola; sì alla registrazione delle lezioni, ma diffusione su Internet solo previo consenso; sì alla pubblicazione dei tabelloni degli scrutini.
Per Psicologia della Gestione,Vittorio Venutiriflette, in “Insegnamento e apprendimento prevedono un incontro con l’Altro”, sulla necessità che l’alunno venga riconosciuto come l’Altro, quindi portatore di cultura che deve essere considerata opportunamente. Non si può incidere sull’Altro se non gli si conferisce fisicità e se non se ne riconoscono le peculiarità, ovvero i versanti e le dimensioni affettive, cognitive, sociali che lo determinano, se non si comprende e si accoglie la cultura che lo caratterizza, che lo fa muovere, che lo alimenta e lo induce a pensare e a comportarsi come pensa e come agisce, se non lo si vede come esito di diverse linee evolutive e di una molteplicità di esperienze a noi ignote. X